“La parola spetta agli uomini” (Omero)

"Non so come dirgli di smettere di arrivare in ritardo, non voglio essere antipatica"
"Anche se ho passato ore a studiare cosa dire, mi stressa parlare in pubblico"
"Quando mi innervosisco in riunione, preferisco non dire niente, non voglio che mi considerino un'isterica"
"Sono troppo ambiziosa"
"Quando mi arrabbio con il mio team, alzo la voce e poi mi vergogno"

Come coach incontro spesso donne di ogni età che faticano a rapportarsi con il loro ruolo di leader, sembrano persone inserite in un sistema a cui non sentono di appartenere. Si chiedono costantemente come agire il loro ruolo senza risultare aggressive e nevrotiche. O peggio lagnose e vulnerabili.

È culturale, certo, ma quanto è profonda e dove nasce questa insicurezza? Non dubitano di ciò che hanno da dire, che spesso è fondato, documentato, ragionevole, a volte innovativo, ma dubitano della legittimità di poterlo dire.

La prima domanda che si fanno è “come posso fare il capo in modo accettabile”?

Studio, leggo e trovo un librino che consiglio “Donne e Potere” di Mary Beard, si legge in una domenica pomeriggio e di spunti ne da’ molti.

Parte più o meno così: “Quando nell’Odissea omerica Penelope chiede a Femio, l’aedo, di cantare qualcosa di meno triste del periglioso ritorno da Troia degli eroi achei, l’imberbe Telemaco interviene bruscamente, invitando la madre a rientrare nelle proprie stanze e ricordandole che «la parola spetta agli uomini». Per quanto saggia e matura, Penelope china il capo di fronte al figlio e si ritira in silenzio. (…) Questo è il primo esempio di un uomo che ordina a una donna di tacere e di uscire di scena. (…) Negata e svilita, derisa e temuta, la voce femminile è stata ridotta al silenzio (…). Un silenzio a cui gli uomini sembrerebbe non intendano rinunciare. (Mondadori)”.

La voce femminile non può avere uno spazio pubblico, non deve incidere sui meccanismi con cui si muove il sistema, è per sua natura poco autorevole. In definitiva non può manifestare una posizione di potere.

Se la percezione è che le donne non appartengono a pieno diritto alle strutture del potere, non è forse il caso di ridefinire il potere e non le donne?

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